Nuova scoppiettante puntata di Casella dei dischi, la rubrica di recensioni non allineate di Michele Casella che questa settimana è dedicata alle nuove uscite di Mount Kimbie, A. Savage e Hose of All. Buona lettura e buon ascolto!
Mount Kimbie – The Sunset Violent (Warp)
Il cerchio si chiude e per i Mount Kimbie (nella foto), i limiti di genere sono ormai sorpassati. A quindici anni dal loro inizio di carriera, quando l’elettronica era il campo d’azione centrale, Dominic Maker e Kai Campo padroneggiano ormai perfettamente la materia sonora nelle loro mani, plasmando indie, rock e digitale con una maestria davvero non comune. Anche nel nuovo The Sunset Violent svetta la presenza di King Krule, protagonista in due splendide tracce malinconicamente sognanti, affine per mood e attitudine al duo londinese. Ma è l’intero album a funzionare sia per l’eclettica scrittura che per la ricercatezza dei dettagli, perché The Sunset Violent richiama lo shoegaze di certi riverberi, il rock alternativo delle chitarre, l’indietronica di alcune melodie, il beat sempre piacevolmente sostenuto. Distanti per chilometri (Maker vive a Los Angelese e collabora fra gli altri con James Blake, Arlo Parks, Flume, mentre Kai Campos è di base a Londra, dove si destreggia con dj set hardware), i Mount Kimbie non sono mai stati così coerentemente uniti ed evoluti. Per la cronaca: a settembre saranno in cartellone allo Spring Attitude Festival di Roma.
A. Savage – Loft Sessions (Rough Trade)
Arriva a sorpresa un gustoso Ep di A. Savage, songwriter ai più noto come frontman degli ottimi Parquet Courts, ormai da anni impegnato anche con questo progetto più intimo e personale. Le nuove Loft Sessions nascono durante una tournée con la sua live band, in seguito all’invito nella sala di registrazione dei Wilco a Chicago, e l’esito sono questi quattro brani folk rock. Tre cover appartenenti all’idolo country Johnny Paycheck (I Can’t Shake the Stranger Out of You), al maestro progressive di Canterbury Kevin Ayers (Oyster and the Flying Fish) e all’icona queer Lavender Country – (la notissima (It Won’t Be Long) and I’ll Be Hating You) – a cui si aggiunge una rielaborazione rasserenata di Wild Horses, brano contenuto nel primo album di A. Savage. Distante anni luce dai suoi Parquet Courts, con questo Ep l’artista statunitense sembra comunque proporre una versione pura, quasi complementare ed essenziale, di quell’art-rock newyorchese ormai sulla cresta dell’onda.
House of All – Continuum (Tiny Global Productions)
La notizia meno importante – per chi non lo sapesse – è che i membri degli House of All provengono tutti dalle ceneri dei Fall, la storica band di Mark E. Smith. Questo secondo album è la perfetta conseguenza dell’esordio dello scorso anno, anche perché composto praticamente nello stesso periodo e registrato con un piglio più oscuro e forse ancor più determinato. La partenza di For This Be Glory pare in antagonismo coi migliori Gun Club, ma poi il disco muta forme, affondando i ritmi risoluti sulla doppia batteria di Paul Hanley e Si Wolstencroft e naturalmente sulla voce possente di Martin Bramah. Continuum riesce a essere hard e allo stesso tempo melodicamente accattivante, perché dove le chitarre si involano verso territorio psych sono poi i refrain a ricondurli nelle trame della forma canzone. Un sound che potrà sembrare vecchio stile, classico senza grandi sorprese da nuovo millennio, eppure solido, ironico ed energetico come solo il rock può essere.
Michele Casella