Sono giorni che si discute di economia dello streaming: c’è stato prima lo studio di Università Cattolica e Itsright, poi il ritiro di Sangiovanni e il lungo post di Ghemon su quanto sia difficile per un artista fare musica in un’epoca dominata dai numeri, molto condiviso in giro per il web. Qual è il punto di vista delle major sul tema? Lo abbiamo chiesto a Fimi, l’associazione confindustriale delle case discografiche. Ci ha risposto con il testo e i numeri che riportiamo integralmente qui sotto.
L’avvento dello streaming ha completamente trasformato l’industria musicale, che negli ultimi anni ha subito modifiche strutturali nei suoi modelli di business, pur tenendo costantemente al centro gli artisti, tutelandone ogni aspetto, da quello creativo a quello economico.
Tra le critiche mosse verso questa nuova economia, emerge quella sull’impatto residuale dello streaming sui redditi, sia in senso assoluto che proporzionale degli artisti.
In verità artisti e cantautori ricevono di più nell’era dello streaming di oggi rispetto all’era del Cd e del vinile, una quota significativamente più elevata dei maggiori ricavi del settore: un’analisi di Ifpi, la federazione fonografica internazionale, mostra che tra il 2016 e il 2021 la remunerazione degli artisti è aumentata del 96%, a fronte di un aumento del 63% dei ricavi delle case discografiche nello stesso periodo. L’analisi Ifpi conferma inoltre che la quota di fatturato degli artisti è cresciuta del 20,2% raggiungendo il massimo storico del 34,9% del fatturato globale nel 2021. Questa tendenza è stata confermata anche da altri studi e rapporti recenti, tra cui l’Ipo del Regno Unito, il CMA Music and Streaming Market e il Loud & Clear Report di Spotify.
Guardando allo scenario locale, si segnala che nel 2023 lo streaming ha dominato incontrastato i consumi italiani, con oltre 71 miliardi di stream – comprensivi di premium e free – e una crescita del 15.9% rispetto all’anno precedente. Inoltre, a superare la soglia dei 10 milioni di streaming (premium + free) sono stati 793 album: un importante risultato che segna + 235 titoli rispetto al 2022. Si tratta di uno scarto sorprendente rispetto ai risultati del decennio precedente: nel 2012 solo 137 album (corrispondenti a 92 artisti) avevano infatti superato l’equivalente soglia delle 10.000 copie vendute (fisico + download).
Lo streaming sta inoltre consentendo a molti più artisti rispetto all’era del Cd di prosperare: nel 2022 i 10 artisti più forti (top ten classifica di vendite) rappresentano solo l’1,5% del mercato dello streaming audio in Italia. Il 76% dei volumi sono infatti occupati dai brani che ricoprono dalla posizione mille in giù (dati GfK Italia per Fimi).
All’accusa di una diffusa fragilità economica dei musicisti, si dipinge uno scenario in cui il panorama dello streaming è più competitivo che mai:
- Alla fine dello scorso anno sui servizi di streaming erano disponibili 184 milioni di brani musical (fonte: Luminate tramite MBW)
- Ogni giorno vengono aggiunte 120.000 tracce ai servizi di streaming (fonte: Luminate)
- 158,6milioni di brani hanno ricevuto ciascuno 1.000 riproduzioni o meno sui servizi di streaming audio nel 2023 (fonte: Luminate tramite MBW)
- 45,6milioni di brani non hanno ricevuto alcuna riproduzione nel 2023 (fonte: Luminate tramite MBW)
Quindi, mentre gli artisti firmati con le etichette registrano entrate più elevate che mai, non tutti gli artisti che utilizzano un servizio di streaming vedono il successo commerciale dello streaming: ciò non è dovuto al mercato, ma alla “democratizzazione” della distribuzione della musica che ha portato alla disponibilità di un volume così grande di musica.
Un recente studio condotto dall’Ufficio per la proprietà intellettuale del Regno Unito (Music Creators’ Earnings in the Digital Era) ha rilevato che tra il 2008 e il 2019 gli artisti e i cantautori hanno visto i ricavi crescere a un ritmo più elevato rispetto a quelli delle etichette. Will Page, economista e autore del libro “Tarzan Economics”, ha scoperto che il valore dell’industria discografica ed editoriale è più grande che mai, che i cantautori e gli editori hanno aumentato la loro quota sulla torta delle maggiori entrate di oltre il 50%.
Un’altra emergenza riguarderebbe la protezione dell’artista, messo di fronte a una diffusa inadeguatezza di tutele contrattuali rispetto ai diritti streaming.
Ma che i contratti degli artisti siano obsoleti e basati sull’era fisica non è plausibile: c’è un’enorme competizione tra le etichette per i migliori talenti, in uno scenario in cui gli artisti hanno più scelta che mai su quale etichetta firmare, e questo si riflette nei contratti moderni. Spetta all’artista decidere come desidera collaborare con una casa discografica, dai semplici accordi di distribuzione musicale alle partnership creative e commerciali più strette.
Anche le etichette discografiche hanno apportato importanti modifiche con lo sviluppo dei mercati dello streaming. Ad esempio, le etichette hanno annunciato che condivideranno i ricavi derivanti dalla vendita di partecipazioni azionarie nei Dsp e che inizieranno a pagare royalties per il vecchio repertorio indipendentemente dal fatto che le registrazioni vengano recuperate.
Il Cma Market Final Report del governo inglese riporta che “Ci sono prove che le condizioni contrattuali a disposizione degli artisti (anche delle major) stanno migliorando in media. I tassi di royalty stanno aumentando, e sempre più alcuni accordi possono prevedere impegni più brevi (ad esempio per singole tracce invece che per album) e/o termini di copyright più brevi (se assegnati o concessi in licenza) (Fonte: CMA Market Final Report pagina 44, paragrafo 2.67)”. Inoltre, la media dei tassi di royalties nei principali accordi con i nuovi artisti è aumentata dal 19,7% nel 2012 a una media del 23,3% nel 2021. Per i cantautori, la quota di ricavi destinata ai diritti di publishing è aumentata significativamente dall’8% nel 2008 al 15% nel 2021 (Fonte: CMA Market Final Report, paragrafo 3).
Sono stati presi in considerazione anche gli artisti con contratti a lungo termine, risalenti all’era pre-digitale: negli ultimi anni Sony Music, Universal Music e Warner Music hanno lanciato programmi che le hanno viste ignorare i saldi non recuperati sugli artisti legacy (fonte: Legacy Unrecouped Balance Program | Artists Forward). Nel 2022, Warner Music Group ha lanciato un programma di anticipi non recuperati, il che significa che non applicano più anticipi non recuperati ai futuri guadagni da royalties di artisti e autori che hanno firmato con la major prima del 2000 e che non hanno ricevuto un anticipo durante o dopo il 2000. Nel suo primo anno, il programma ha visto beneficiare di circa 4.500 artisti e relativi produttori a livello globale. È stato anche avviato il processo di contatto dei cantautori Warner Chappell Music che potrebbero trarre vantaggio da questo programma, oltre 1.600 a livello globale (fonte: Warner Music Group 2022 ESG Report).
Alla richiesta di un sistema più chiaro di rendicontazione degli stream, che possa aumentare il livello di trasparenza delle case discografiche, si segnala che ad oggi c’è più trasparenza che mai rispetto al passato grazie agli investimenti delle case discografiche nei loro sistemi di gestione di un volume senza precedenti di dati che ricevono dai servizi di musica digitale. Come risultato di questo enorme investimento e attraverso innovazioni come i portali online, gli artisti e i loro team di gestione sono in grado di visualizzare le loro royalties e altri flussi di reddito spesso in tempo reale (Sony Artist Portal QUI+UMG artist app QUI).