Nel music business contemporaneo c’è dentro un po’ di tutto, ecco perché un player di settore deve saper fare di tutto un po’. E così Believe, società leader a livello globale nella distribuzione digitale della musica, qui in Italia lancia M.A.S.T., acronimo di Music Artist Services Team, una divisione che punta a offrire agli artisti licenza gli stessi servizi che una major offre con i contratti in cast. Al timone c’è Paolo Colavolpe, forte dell’esperienza maturata in Island, nel suo team Lorenzo Libutti, Matteo Mazzetti, Gaia Ponzoni, Francesca Gerardi, Federico Maccarrone, Cesare Castellucci, Luca Miramonti e Giulia Doci (nella foto).
«È la naturale evoluzione del cammino che abbiamo fatto in questi anni», sottolinea Luca Daher, managing director di Believe Italia. «Come gruppo siamo nati con il digitale, prima dell’era del downloading: addirittura con le suonerie per i cellulari. Poi con l’avvento streaming abbiamo trovato il nostro habitat naturale. Con il tempo ci siamo accorti che, nel music business contemporaneo, è sempre più opportuno un approccio a 360 gradi: ci piace l’idea di seguire alcuni progetti prima e dopo la distrubuzione. C’è l’ambizione di base di andare oltre la formula della licenza».
Il progetto che sarà presentato sabato 25 novembre nell’ambito della Milano Music Week è in parte un re-branding della business unit di Believe Artist Services «ma con in più la consapevolezza che possiamo continuare a crescere nel mercato italiano sia in termini di numeri che di qualità e visione operativa. Noi non lavoriamo dei prodotti: lavoriamo assieme agli artisti, in cerca delle soluzioni più efficaci ed innovative caso per caso. Oggi il mondo della musica è molto più sfaccettato rispetto a dieci, venti o trenta anni fa. Un tempo i modi per avere successo nella musica erano due o tre, ora si sono letteralmente moltiplicati».
Per quanto riguarda il roster, oltre a nomi noti come Noyz Narcos e il Pagante si farà scouting di giovani talenti: «L’hip hop è un mondo al quale naturalmente guardiamo», continua Daher, «ma non sarà un’ossessione. Non vogliamo essere automaticamente ricondotti a un genere. Dall’hip hop sicuramente prenderemo in prestito l’approccio. E con quell’approccio, magari, produrremo anche artisti modern classic».