La sentenza Vessicchio fa giurisprudenza e avrà una portata storica. Lo abbiamo letto più volte, in questi giorni, a proposito della decisione sul diritto d’autore e la definizione di produttore fonografico intrapresa dal Tribunale di Roma nella vertenza che contrapponeva il celeberrimo maestro Beppe Vessicchio – icona pop in generale e del festival di Sanremo in particolare – e la Rai a proposito dell’utilizzo di «Margherita», brano sigla della storica trasmissione televisiva condotta da Antonella Clerici «La prova del cuoco».
In estrema sintesi, la lite partiva dal fatto che la Rai non riconosceva a Vessicchio lo status di produttore fonografico dal momento che le sue sigle non avevano avuto una distribuzione a livello discografico.
Ma cosa dice precisamente la sentenza Vessicchio? Mettendo un po’ di ordine alle 39 pagine di argomentazioni, il Tribunale di Roma ha affermato anzitutto che anche le registrazioni di musiche semplici, come le sigle di una trasmissione televisiva, sono fonogrammi per la cui diffusione è dovuto, ogni volta, un compenso al produttore e agli artisti (che nel caso di Rai è pari all’1,5% dei ricavi lordi riferibili all’utilizzazione del disco).
Quanto al tema della titolarità di queste registrazioni, visionati i contratti sottoscritti tra Rai e maestro Vessicchio, il Tribunale non ha potuto che prendere atto che questi fossero contratti di edizione, cioè di cessione dei diritti d’autore a Rai, e non contratti discografici, concludendo per l’appartenenza dei diritti connessi in capo al maestro Vessicchio e non a Rai.
Il primo tema è certamente interessante. La tesi sostenuta da Rai in giudizio, ma non fatta propria dal giudice, è che fonogrammi protetti sono soltanto quelli messi in commercio. Un’idea però vecchia, da discografia anni Novanta, superata da tempo nell’epoca dello streaming e priva di riscontro nel diritto internazionale ed europeo, come il Tribunale ha confermato.
Del resto emittenti del calibro di Sky, Rti, Discovery, per fare alcuni esempi, ma pure la stessa Rai hanno etichette discografiche importanti depositarie di centinaia di migliaia di sigle musicali dei loro programmi, a testimonianza di come il mercato non si sia evoluto nella direzione sostenuta da Rai. Anche gli Ott si sono orientati nella identica direzione e hanno costituito proprie case discografiche che gestiscono i diritti sulle musiche originali impiegate nei programmi che producono.
Rimaneva allora il tema della titolarità di queste registrazioni e qui il Tribunale di Roma ha affermato che in generale l’incarico di scrivere una musica non implica anche la cessione dei diritti sulla relativa registrazione, se questa cessione non risulta dall’accordo, e visti gli accordi tra Rai e il mastro Vessicchio non ha potuto che prendere atto che essi riguardavano solo la cessione dei diritti d’autore e non anche delle relative registrazioni. Evidentemente Rai non deve aver sufficientemente dettagliato a riguardo i propri contratti oppure più semplicemente per proprie scelte d’impresa non ha ritenuto necessario acquisire i diritti anche sui fonogrammi che aveva commissionato. E il maestro Vessicchio ha chiesto il conto.
Una grande vittoria, dunque, come è stato annunciato? Sì e no. E questo per due ordini di ragioni. La prima è la presenza, sullo sfondo, della sentenza Atresmedia che è spesso invocata dagli utilizzatori per sostenere che le opere audiovisive, anche quando includono musiche registrate, non sono fonogrammi, così che la loro diffusione non genera l’obbligo di pagare alcun compenso alle etichette discografiche e forse anche agli artisti.
Il Tribunale di Roma ha liquidato la questione semplicemente ritenendo che la sentenza Atresmedia non fosse applicabile senza però spiegare nel dettaglio perché, mentre qualche parola in più avrebbe aiutato. Nuovo Imaie e Afi sottolineano l’importanza della sentenza, ma prima o poi la Corte di giustizia sarà chiamata a chiarire il tema, forse proprio nell’ambito dello stesso giudizio Rai, e non è detto che la situazione non possa addirittura ribaltarsi a favore di Rai nei successivi gradi di giudizio. C’è quindi un altro tema di sostanza.
Il Tribunale di Roma ha riconosciuto che Rai non era titolare dei diritti fonografici sulle musiche del maestro Vessicchio ma non ha vietato a Rai di scrivere diversamente i propri contratti o modificare in futuro le proprie politiche di acquisizione.
Un network come Rai potrebbe per esempio riscrivere i propri contratti e acquisire, ove non lo abbia già fatto, anche i diritti sulle registrazioni che commissiona. O potrebbe addirittura risonorizzare le sigle dei propri programmi (in quanto titolare dei diritti d’autore) e fare a meno delle registrazioni originali degli autori.
L’intelligenza artificiale offre in ultimo prospettive prima d’ora impensabili di cui alcuni operatori hanno già intuito le profonde opportunità nel settore televisivo. Chissà che in futuro non si ricorra a queste nuove tecnologie per registrare le musiche delle produzioni televisive, specie quelle più semplici come jingle o sigle. Uno scenario da «Westworld»? Può essere. Ma di sicuro un algoritmo non ti farà mai causa.