Casella dei dischi: le recensioni a English Teacher, Still House Plants e Metz

Nuovo appuntamento con Casella dei dischi, la rubrica di recensioni tutt’altro che mainstream di Michele Casella. Questa settimana ci concentriamo sulle uscite di English Teacher, Still House e Metz. Come sempre, buona lettura e buon ascolto!

English Teacher – This Could Be Texas (Island)
Entrati da circa due anni nei radar dei più attenti osservatori dell’indie-britannico, gli English Teacher (nella foto) arrivano al loro debutto con un originale incrocio di alternative, rock, pop e varie altre striature di genere. In grado di colpire per capacità compositiva, versatilità canora e attitudine a entrare in milioni di playlist digital-radiofoniche, questo quartetto di Leeds sposta effettivamente in alto l’asticella del nuovo cantautorato d’Albione. A qualcuno sembrerà eccessivo, ma questo ibrido sonoro intitolato «his Could Be Texas«» è davvero un ottimo intreccio fra tre band di cui si è parlato tanto – e bene – negli ultimi anni: Dry Cleaning, Big Thief e Black Country, New Road. Il meglio arriva proprio dalla spinta elettrica della parte strumentale, che può diventare più delicata ed elegiaca o addirittura quasi klezmer, adattandosi alle necessità del singolo brano e soprattutto della bellissima voce di Lily Fontaine. Una collezione di grandi canzoni, senza scopiazzature o riempitivi forzati.

 

Still House Plants – If I don​’​t make it, I love u (Bison Records)
Dopo quasi quattro anni dall’insospettabile successo di «Fast Edit» – l’album che li ha fatti finire nelle liste dei best 2020 – gli Still House Plants tornano con un nuovo disco il cui titolo è tutto un programma: «If I don​’​t make it, I love u». Sebbene a un primo ascolto queste undici tracce possano apparire ostiche, indecifrabili, dissonanti e perfino squilibrate, ancora una volta siamo di fronte a un lavoro di eccezionale dinamismo e inventiva, dotato di un’originalità completamente fuori dai canoni correnti. Perfetto per chi ama gli inciampi, le obliquità e il lavoro sulle ritmiche di un certo math-rock del recente passato – pensiamo innanzitutto ai magnifici e misconosciuti Storm & Stress di Ian Williams, ma anche a tanto altro di casa Drag City, Thrill Jockey, etc. – il trio formato da Finlay Clark (chitarra), Jess Hickie-Kallenbach (voce) e David Kennedy (batteria) è quanto di più caldo e ispirato potrete ascoltare di questi tempi, soprattutto con un lavoro come questo, che viaggia a cavallo fra analogico e digitale. Un disco da ascoltare ripetutamente e che unisce post-rock, soul, slow-core, improvvisazione, songwriting, ma soprattutto una porta magica per capire che la musica (la migliore) può passare anche attraverso suoni realmente differenti.

 

Metz – Up On Gravity Hills (Sub Pop)
«Up On Gravity Hills» è soprattutto un distillato di energia in un pratico formato in vinile, otto tracce dal profumo Nineties che fanno la felicità sia degli ascoltatori già avvezzi a questi suoni sia di coloro che hanno scoperto il post-punk dai titoli sui magazine più patinati del pianeta. Da ascoltare rigorosamente a volumi che fanno vibrare le pareti domestiche, il nuovo album dei Metz è splendidamente organizzato su chitarre in fuga, noise, feedback shoegaze di sfondo e voci felicemente ispirate. A sorprendere non è solo la costante abrasività, che la band ha saputo ben sviluppare dal 2012 a oggi, ma la sofisticata appetibilità melodica di questi otto brani, che farebbe pensare al miglior pop in circolazione se solo non stessimo parlando di un suono a tratti quasi heavy. Onesto e diretto nei testi, gioiosamente urlato per tutti i 35 minuti di durata, «Up On Gravity Hills» è davvero il disco che può far esplodere a livello mondiale il trio canadese.
Michele Casella