Einstein, McCartney e un viaggio a «Egypt Station» (passando per Billboard e il sogno di un concerto a Pompei)

Il mondo funziona così. È successo che Albert Einstein abbia avuto il Nobel per la fisica per la teoria dei quanti di luce. Fondamentale, per carità, ma certo non decisiva per la comunità scientifica quanto la teoria della relatività sempre da lui elaborata. È successo e va bene così. E adesso succede che «Egypt Station», 18esimo album solista in studio per il nostro imprescindibile Paul McCartney, sia il primo disco successivo allo scioglimento dei nostri imprescindibili Beatles a finire primo nella Billboard 200 nella settimana di uscita e il primo album di Macca a guidare la Billboard 200 da 36 anni a questa parte e, cioè, da quando uscì «Tug of War», disco che conteneva perle come il duetto con Stevie Wonder su «Ebony and Ivory» e l’omaggio postumo a John Lennon «Here Today». Macca davanti a Eminem, a Lauren Daigle, Russ e Drake: è successo ed è una grandissima goduria, perché qui a «Money, it’s a gas!» siamo beatlesiani fondamentalisti, maccartneisti militanti, fedeli alla linea (del Mersey). Detto questo, aggiungiamo che «Egypt Station» non ci sembra il miglior disco di McCartney da 36 anni a questa parte: non è «Flowers in the Dirt» (1989), dove il Nostro divideva la sala d’incisione con David Gilmour ed Elvis Costello, e neanche il recente «New» (2013), quello sì caratterizzato da una cifra innovativa dirompente, scanzonato (nella title track) e commovente al momento giusto (vedi alla voce «Early Days»). Il nuovo album funziona molto bene: ci sono pezzi che avevamo imparato ad amare già prima che uscissero (la trascinante «Come on to me», la pensierosa ballad «I don’t know») e un po’ di sano sperimentalismo post beatlesiano («Hunt You Down/Naked/C-Links»). Ma lo sapete che ogni tanto pure Omero si addormenta e, in «Egypt Station», capita qualche capitolo che facciamo un po’ fatica a comprendere, come «Back in Brasil» che non è «Back in the Ussr» ma un una specie di divertissement elettronico su ritmica bossa nova, forse la cosa più fuori fuoco di Macca dai tempi di «Où Est Le Soleil?» Si sarà in ogni caso divertito e noi gli vogliamo bene. Vogliamo che si diverta, perché se lo merita come pochi altri al mondo. Noi lo aspettiamo dal vivo, ancora una volta, in Italia perché ci diverta, come pochi altri sanno fare al mondo. Il sogno, per l’estate 2019, è quello di unire la storia alla storia. Il corpus beatlesiano alle meraviglie dell’Italia, come fu nel 2003, quando Zio Paul suonò dentro e fuori il Colosseo. Il sogno è quello di vederlo a Pompei, unire un pezzo di noi a un pezzo di noi. I sogni certe volte si avverano. Stavolta chissà.