Nomi grandi e meno grandi del panorama musicale internazionale in questa sesta puntata della Casella dei dischi, la rubrica di recensioni tutt’altro che mainstream di Michele Casella. Stavolta al centro della scena ci sono Pearl Jam, Chanel Beads e Cindy Lee. Come da formula collaudata, buona lettura e buon ascolto!
Pearl Jam – Dark Matter (Universal Music)
Gli assoli di chitarra, i riff a squarciagola, la batteria lanciatissima: è un rock ormai classico quello dei Pearl Jam (nella foto), che la band di Eddie Vedder maneggia con estremo mestiere. Ad ascoltare “Dark Matter”, il loro dodicesimo album, si potrebbe parlare di “maestria”, perché se è vero che la nuova raccolta di inediti per certi versi può essere critica, di certo possiede i pezzi per farsi ascoltare come un concept a sé stante. Dai più energici a quelli romantici, dai radiofonici ai rockettari, gli undici brani in sommario possiedono una solidità da best seller che è indiscutibile. Il richiamo a un suono che negli anni Novanta ha rappresentato il grido di una generazione ora si stempera anche nelle ballate da alt.folk nordamericano, nelle slide guitar e in un senso di rilassata libertà che fondamentalmente funziona. È la Hall Of Fame del rock, quella un po’ calligrafica ma di cui qualcuno deve farsi carico. I Pearl Jam continuano a farlo, con qualche ovvietà sopra le righe, ma sostanzialmente fedeli a quella esplosione che sfocia nel punk, nell’heavy e nel songwriting ben fatto di un’indimenticata Seattle.
Chanel Beads – Your Day Will Come (Jagjaguwar)
Cosa accade se il suono ambient psichedelico della Kranky Records entra nel cuore pulsante del coolness newyorchese? La risposta è nell’album d’esordio di Chanel Beads, il progetto di Shane Lavers che arriva dopo due anni di rumors e una manciata di ep che hanno subito convinto addetti ai lavori e pubblico della Grande Mela. La pubblicazione di “Your Day Will Come” è effettivamente una conferma per le aspettative riposte, uno scintillante ibrido per gli amanti di artisti come Atlas Sound, Grouper, Jessica Bailiff, in cui la vena pop tende a diventare diafana, fragile, psicotropa. Nove brani che in appena 27 minuti mostrano una via al nuovo suono alternativo, ma anche una prova che tende a superare la divisione fra generi, come mostrano i ritmi hip-hop di “Embarrassed Dog”, i riferimenti anni Ottanta di “Unifying Thought”, le chitarre magnificamente grezze di “Dedicated To The World” e “Urn”.
Cindy Lee – Diamond Jubilee (Realistic Studios)
Ci vuole poco a capirlo, ed è comunque magico: “Diamond Jubilee” è un segnale proveniente da una realtà alternativa, in cui i suoni del passato e del futuro si sono fusi in uno stream senza soluzione di continuità, sempre sorprendente. Basta qualche minuto di ambientamento e ci sei dentro totalmente, nella scrittura semplice ma geniale, nelle chitarrine anni Cinquanta, nelle meraviglie ipnagogiche, nelle evoluzioni psichedeliche. Questo disco di Cindy Lee (alter ego di Patrick Flegel, drag performer e songwriter) è un regalo inaspettato, effettivamente donato all’ascolto condiviso attraverso un link di YouTube (su cui è presente per intero e senza interruzioni) e un download di file .wav (a fronte di una donazione facoltativa di 30 dollari). Chissà se seguirà una pubblicazione in vinile, ma nel frattempo questo strano oggetto sonoro frattale si muove attraverso il suono synth e il folk del primo Novecento, le percussioni allucinate e l’easy listening più fluttuante. C’è un elemento, però, che distingue questo disco da (quasi) tutto ciò che accade nella discografia industriale, il potersi innamorare di un lavoro che non è legato alla logica del singolo di lancio, del videoclip ammiccante, della copia da collezione. “Diamond Jubilee” è un’opera che può essere ascoltata solo concedendole tutto il tempo necessario. Non lascia scelta. La musica torna a essere obbligatoriamente momento di abbandono e assorbimento, a immersione lenta, come immediatamente prima di cominciare a sognare. E infatti, l’unico termine che può descrivere le 32 canzoni di Cindy Lee è (questa volta davvero) “subliminale”.
Michele Casella