«Money, it’s a gas!» si occupa di economia della musica e non di salvaguardia dei beni culturali. A meno che la salvaguardia dei beni culturali non finisca per occuparsi di economia della musica. I due campi, apparentemente molto distanti, si sono fatalmente sovrapposti su Repubblica di ieri, 26 maggio 2016. Il caso del crollo del Lungarno a Firenze – piuttosto che essere derubricato a questione tecnica di manutenzione delle condotte idriche, eventuali responsabilità di Publiacqua e semmai dibattito sulla liberalizzazione dei servizi – ispirava l’articolo «La città dal cuore fragile e i rischi di diventare la Disneyland dell’arte» dello storico dell’arte Tomaso Montanari, nel quale con metodo induttivo si partiva dall’episodio singolo per fotografare tutti i malanni che nel Bel Paese affliggono la risorsa cultura. Si toccava il delicatissimo tema della gentrification, del fenomeno sociale che svuota i centri storici trasformandoli in «quinta disabitata» a uso e consumo dei turisti e «deporta» i residenti fuori città. Processo devastante di cui Firenze, come Venezia, sarà vittima da buoni 20 anni. Questione capitale, magari poco nota ai lettori di «Money, it’s a gas!». Cui però di sicuro non sfuggirà un altro passaggio, un po’ gratuito in un articolo che tratta di una strada crollata, forse per una perdita d’acqua: «Siamo pronti a usare il Colosseo come un palasport, a far suonare Elton John nel teatro di Pompei, a coprire l’Arena di Verona come un auditorium: consumare, valorizzare sfruttare sembrano le uniche parole d’ordine. Ci sentiamo gli utilizzatori finali di un patrimonio millenario». L’intento è probabilmente quello di sottoporre agli occhi del lettore l’amletico dilemma della gestione dei beni culturali: conservare o valorizzare. Facendo oscillare il pendolo a favore del primo concetto. Il nostro punto di vista è molto diverso. Riteniamo che si possa, anzi, si debba utilizzare il «patrimonio millenario» che la sorte ci ha donato per rappresentazioni moderne – l’arte, il teatro, la musica, perfino quella rock – con un fondamentale discrimine davanti agli occhi: la qualità. Qualità (e coerenza) dell’arte che si propone con il contesto storico-artistico che la ospita. Qualità (ed efficienza) nella gestione degli eventi ospitati dal contesto storico-artistico. Che è un contesto fragile e, quindi, va trattato con estrema delicatezza. Qualità (e innovazione) nelle formule di partnership pubblico-privata chiamate a regolare l’organizzazione di un evento in un dato contesto storico-artistico. Del tipo: vuoi l’arena romana per il concerto rock? Bene: una parte degli incassi verrà investita nella manutenzione dell’arena romana. Il problema, a nostro avviso, non è tanto quello che fai, ma come lo fai. Tutto il resto è estremizzazione. Come dire che se crolla il Lungarno è colpa del concerto di Elton John (nella foto) a Pompei.
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