C’era una volta l’epoca dell’intellettuale organico e del cantautore – precipitato della figura dell’intellettuale nella musica popolare – aristocratico: chi scriveva le sue canzoni e le cantava davanti al suo pubblico, chitarra in mano e dolcevita addosso, era in qualche modo erede di Bob Dylan e, in quanto tale, ne doveva interpretare i comportamenti pubblici. E allora vai con le scarse concessioni ai fan, gli ambiziosi progetti artistici pensati per essere sempre un po’ più «oltre» rispetto al giorno prima, le interviste evitate salvo casi eccezionali e, in quei casi eccezionali, evase a una certa distanza dall’interlocutore giornalistico, spesso con aria di sufficienza. Ma andava bene così: all’intellettuale unplugged, all’artista engagé, al poeta del do maggiore/fa maggiore/sol settima, tutto era concesso. Dalla critica come dall’opinione pubblica. Ma soprattutto dall’industria discografica che muoveva ancora cifre importanti. Nel frattempo la barca si è arenata nelle secche della crisi dei consumi musicali, prima con Napster ed eMule, poi con l’avvento dello streaming. E quando l’acqua è poca, tocca remare tutti nella stessa direzione. Accade così che quello che prima era una concessione commerciale, adesso è quasi un’attività imprescindibile della professione artistica. Accade infatti che pesi massimi dell’italico cantautorato come Francesco De Gregori («Amore e furto») e Francesco Guccini («Se io avessi previsto tutto questo») aprano alle conferenze stampa e si offrano al proprio pubblico negli eventi in store organizzati in giro per le librerie d’Italia. Franco Battiato («Anthology – Le nostre anime») giovedì 19 novembre andrà invece addirittura ospite al quinto live show di X Factor. Possibile? Fino a 20 anni fa scenari del genere sarebbero stati impensabili, ma guai a farne un dramma: i tempi, che ci piaccia o meno, sono cambiati. E la promozione, se fatta con intelligenza e gusto, può essere una cosa nobile. Una fortuna aver guadagnato alla causa le migliori menti della generazione dei cantautori.