Decomprimere Sanremo: 4 dischi (più o meno strumentali) per lasciarsi alle spalle il festival

Sanremo è fiumi di parole. Non vogliamo qui parlare del memorabile brano dei Jalisse vincitore del festival nel 2017 e, un secondo dopo, consegnato all’oblio tanto da imporsi come idea platonica di tutti i fallimenti festivalieri. Ci preme piuttosto esprimere un concetto semplice: la settimana di Sanremo è un trionfo di parole, quelle dei testi e quelle intorno al festival, quelle che sentiamo e quelle che scriviamo. Parole di cui la musica, spesso e volentieri, potrebbe fare a meno. Se avete seguito il festival e ancora non vi siete ripresi, vi consigliamo quattro dischi quasi interamente strumentali che potrebbero aiutarvi a decomprimere. Non per altro: sono gli stessi che stiamo ascoltando qui a «Money, it’s a gas!»

Andrea Quattrini Trio, Al mio ritorno
Confessate: «Gigante» di Piero Pelù sulle prime non vi era dispiaciuta. Poi, riascoltandola, vi siete accorti che il ritornello ricorda «Keep Your Heart Broken» di The Rasmus. Evvabbé, succede anche nelle migliori famiglie. Lasciate perdere questa storia: c’è un altro gigante che non vi deluderà. O meglio: «Il gigante», secondo brano in tracklist di «Al mio ritorno», album d’esordio dell’Andrea Quattrini Trio. Un trio jazzistico milanese capitanato da Andrea Quattrini (nella foto), batterista e compositore già noto agli appassionati del genere per la militanza nei Casi, progetto che trae ispirazione nel Pianoless Quartet di Chet Baker e Gerry Mulligan. Stavolta nella musica di Quattrini il piano c’è eccome: lo suona Marco Confalonieri, con un occhio sempre puntato sulle soluzioni armoniche dell’immenso Bill Evans, mentre Daniele Petrosillo puntella la ritmica col contrabbasso. Si va dalle atmosfere cool de «Le luci del corso» alla ballad meditativa «Scusate il ritardo», omaggio più o meno esplicito al cinema di Massimo Troisi, fino al pop nervoso di «Angel’s Bridge». Davvero un bel disco.

Tower Jazz Composers Orchestra
Vi abbiamo più volte parlato del Jazz Club Ferrara, uno tra i più suggestivi e apprezzati jazz club dello Stivale che trova collocazione nel Torrione della città emiliana. Ebbene, è uscito «Tower Jazz Composer Orchestra», esordio discografico omonimo della resident band del Torrione. Una vera e propria big band che propone 14 brani estratti da un book di oltre sessanta arrangiamenti originali, fino a offrire una visione ad ampio raggio sulle diverse sfaccettature compositive e performative dell’ensemble. In questi anni l’orchestra ha costruito un repertorio piuttosto variegato, dove le voci dei vari compositori si confrontano tra loro nella ricerca di un’identità riconoscibile e di un percorso teso a sconfinare oltre l’idioma classico della big-band jazzistica, pur attraversandolo in lungo e in largo. Non mancano pezzi cantati e curiose sperimentazioni.

Dario Savino Doronzo – Pietro Gallo, Reimagining Opera
Di adattamenti operistici in chiave jazz ne abbiamo ascoltati, ma l’album a quattro mani di Dario Savino Doronzo (flicorno) e Pietro Gallo (piano) stupisce per delicatezza ed eleganza. I due lavorano di sottrazione in un campo nel quale una nota in più rappresenterebbe fallo da espulsione. L’accoppiata non teme il confronto con Giuseppe Verdi (l’Ouverture di «Otello») o l’eseguitissimo «Nessun dorma» di Giacomo Puccini. Sul «Sì dolce è ’l tormento» di Monteverdi spunta poi un cult assoluto: il serpentone di Michel Godard, guest del disco. Per palati fini.

Manodedios, Miracolo italiano
Momento di alleggerimento finale. «Miracolo italiano» è un album di funky strumentale con innesti elettronici che fa del groove la propria ragion d’essere. Pezzi come «La Mano de Dios» e «Penne e paglia» non avrebbero sfigurato nella colonna sonora di qualche poliziottesco anni Settanta. Operazione animata da una sottile ironia di fondo. Chi ha dubbi a riguardo, si ascolti «Miracolo italiano» con il celebre discorso di Silvio Berlusconi che si trasforma in una samba. Tutti in pista a ballare!