Greta Van Fleet in Italia per la prima volta: Alcatraz per i Led Zeppelin «in sedicesimo»

Certe notti viene da pensare che aveva ragione il Califfo: la musica è finita, gli amici se ne vanno. Viene da chiedersi cosa succederebbe se, di punto in bianco, in mezzo a tutta questa musica finita tornassero di nuovo i grandi mostri del passato. Per dire: cosa succederebbe se, di punto in bianco, debuttassero i Led Zeppelin, con la stessa carica di testosterone ed elettricità che 50 anni fa ne accompagnò l’esordio? Questo esercizio di fantasia è meno retorico di quanto possa sembrare, perché in un certo senso i Led Zeppelin stanno debuttando proprio oggi, come debuttarono 50 anni fa. Non «quei» Led Zeppelin, ossia Page, Plant, Jones e Bonham, ma qualcosa che assomiglia loro tantissimo, qualcosa che – se ascoltato senza aver letto prima l’etichetta – fa pensare a chissà quale inedito spuntato da chissà quale archivio di chissà quale session di «Led Zeppelin II». Qualcosa che si chiama Greta Van Fleet, prodigiosa band americana «a conduzione familiare» che ricalca con impressionante fedeltà il modello di riferimento, tanto che critica e pubblico di mezzo mondo se ne sono accorti eccome. A proposito di fan, abbiamo una notizia per quelli italiani: il 24 febbraio 2019 i Greta Van Fleet suoneranno per la prima volta alle nostre latitudini, all’Alcatraz di Milano. L’organizzazione è a cura di Vertigo, i biglietti saranno in vendita sulla piattaforma TicketOne dalle 10 di venerdì 19 ottobre, prezzo 37 euro più prevendita, oppure 43 euro al botteghino la sera dell’evento.

Il 19 ottobre è anche il giorno di uscita del loro primo album «Anthem of the Peaceful Army» per Island Universal. Chi già ha avuto modo di apprezzare gli Ep «Black Smoke Rising» e «From the Fires» e subito si è innamorato dell’hard rock acrobatico di hit come «Safari Song» non resterà deluso. L’alchimia che esiste tra i fratelli Kiszka è qualcosa di prodigioso: Joshua ha un timbro che ricorda il migliore Robert Plant, Jacob deve aver passato le notti di luna piena a studiare gli assoli di Jimmy Page, Samuel fa il suo dovere «tra le linee» come sapeva fare benissimo John Paul Jones e Daniel Wagner non ha paura di battere forte sul charleston aperto come faceva Bonzo. Continuando con questo giochino, «Age of Man» potrebbe essere una bonus track di «Physical Graffiti», «Cold Wind» ce la vedi nella scaletta dei tempi d’oro del Dirigibile, mentre «When the Courtain Falls» si candida a diventare la «Black Dog» della generazione Spotify. Questi ragazzi ci danno oggi i nostri Led Zeppelin quotidiani, a noi che invano chiediamo da anni una ennesima reunion ai tre superstiti più figlio d’arte. Precisazione importante: se non conoscete i Greta Van Fleet e siete arrivati fino a questo punto del post mossi dalla pura curiosità, c’è un aspetto sul quale è bene spendere mezzo secondo di riflessione. Con i Greta Van Fleet la musica non cambia, non si evolve, forse neanche si impone come arte con la «a» maiuscola, ma di sicuro rivendica con prepotenza la propria funzione di intrattenimento. Perché i Greta Van Fleet sono i Led Zeppelin in sedicesimo. O forse dovremmo dire che sono i Led Zeppelin «in sedicenni»: quella più o meno era l’età dei fratelli Kiszka quando il progetto partì. Comunque la mettiate, divertimento assicurato. E, nell’epoca della «musica finita», non è poco.